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Psicologia clinica

Il disturbo Antisociale di personalità (PSICOPATIA)

Cos’è la personalità antisociale? Cos’è il disturbo antisociale di personalità? Qual è la differenza tra antisociale e psicopatico?

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La differenza tra antisociale e psicopatico?

Ok, nel video precedente una signora suggeriva la possibilità di approfondire il disturbo antisociale di personalità . Non l’avevamo ancora fatto. Proviamoci.

Non l’avevo ancora fatto perché in studio avrò ricevuto solo una persona antisociale, anche se non ho poi avuto la possibilità di dirglielo.

Quindi come faccio a raccontarti degli antisociali?:

 1) ho lavorato per un periodo in carcere e un paio di antisociali penso di averli incontrati;

2) lo sono un po’ anch’io e forse anche tu.

3)Ho studiato e studiare le cose significa riconoscere e capire le cose.

In questo periodo storico un bel po’ di antisociali stanno venendo fuori. Dove? Ovunque, l’avevi il green pass? Se non l’avevi sei un po’ antisociale anche tu.

Ma gli antisociali sono brutti, cattivi e pericolosi. Non è vero.

Senza gli antisociali le società non sarebbero mai cambiate,

se dentro di noi c’è la possibilità di essere antisociali significa che anche questa cosa ci serve. Come ci serve ogni tanto essere narcisisti, dipendenti, evitanti e tutto il resto.

Allora, per capire bene quello di cui parleremo, dovresti avere guardato prima il video sulla personalità o letto l’articolo (Eventualmente guardalo dopo).

Perché se parliamo di personalità antisociale e di disturbo di personalità antisociale, devi sapere cos’è la personalità e cos’è la personalità disturbata.

Conosci Gesù e Batman? Non possiamo negare che sono un po’ antisociali. Anche Hitler era un antisociale però di quelli cattivi (anche se lui pensava di costruire una società nuova e perfetta).  Aspetta, mi sto confondendo. Se proprio dobbiamo attenerci alla parola, proprio Hitler voleva costruire una società nuova e perfetta, forse era troppo sociale. Forse antisociali lo erano anche i partigiani. Cioè, se essere antisociale significa anche mentire e disobbedire, i partigiani non lo erano?  Come ci mettiamo d’accordo? Mettiamoci d’accordo così. Lasciamo stare la parola e ragioniamo.

Ognuno di noi pensa di essere una brava persona e di agire sempre a fin di bene per risolvere le ingiustizie: anche Joker e Kim ammèle mele mù di Korea.

Condividiamo che:

 la personalità un po’ antisociale è una cosa, il disturbo antisociale di personalità è un’altra cosa.

Gli individui peggiori con un disturbo di personalità antisociale gravissimo sono quelli che comunemente chiamiamo psicopatici: i criminali più feroci, i dittatori più spietati e ovviamente i serial killer.

Tutti quelli che commettono crimini assurdi, Sono psicopatici? No, o forse si. Si, forse si. Tutti quelli che ammazzano sono psicopatici? No.

Ok, ci stiamo cominciando a capire? No. Quindi cominciamo.

Altre volte ci siamo raccontati che:

la personalità è il modo abituale di fare esperienza e di adattarci al contesto che abitiamo

Se io sono una persona estroversa, significa che nelle mie esperienze nel mondo e con le altre persone io sarò una persona tendenzialmente estroversa e se esprimo l’estroversione decentemente senza disturbare nessuno, questa mia caratteristica mi aiuterà a migliorare la qualità della mia vita. Lo stesso però varrebbe per una persona tendenzialmente introversa. L’introversione favorirà altri tipi di relazioni e di esperienze: a meno che estroversione ed introversione non si impongono rigidamente e senza flessibilità sul nostro carattere in modo patologico.

Quindi…

 com’è la personalità degli antisociali?

Quali sono i tratti prevalenti della personalità antisociale?

Dovrei parlarti un attimo dei tratti di personalità: le componenti più piccole della nostra personalità che formano temperamento e carattere.

Facciamo finta che sai quali sono questi tratti. Facciamo finta che li conosci tutti. Potremmo cominciare a dire che gli antisociali hanno alcuni tratti della loro personalità un po’ estremizzati e alcuni anche un bel po’.

Ad esempio:

  •  l’impulsività, cioè la tendenza di regolare le proprie tensioni emotive agendo immediatamente alcuni comportamenti per ritornare all’equilibrio e alla stabilità emotiva.

Mi tagli la strada? Ti inseguo perché devo darti almeno un pugno in faccia. Però, ci sono anche quelli che riescono a essere meticolosi e freddi nella vendetta.  

  • La coscienziosità – responsabilità, cioè la capacità di pensare in tempo ad eventuali conseguenze positive o negative dei propri atti. Alcuni antisociali esprimono questi tratti sul versante opposto: irresponsabilità e imprudenza.

Lo so che certe volte mi spaccheresti la faccia, ma siccome sei una persona coscienziosa, sai che non ti conviene. E poi sai già come ti piacerebbe la tua vita e sai che se dai troppo spazio all’istinto, forse muori prima.

Sicuramente alcuni tratti di personalità facilitano la strutturazione di una personalità antisociale.

 Ma bastano? No, non bastano.

Molti studi evidenziano come il disturbo di personalità antisociale prende forma, non solo su predisposizioni genetiche, che comunque ci sono. Si è compreso che molto spesso le persone pericolose sono state pericolose anche da bambini, anche se educate da angioletti.

Anche fattori educativi ed esperienziali precoci fanno diventare antisociali.

E qui le esperienze possono essere anche molto diverse tra loro: si va dall’abuso all’abbandono.

Cioè se ti scanno senza motivo oppure ti ignoro senza soddisfare i tuoi bisogni di base, e magari sei troppo piccolo per capire che la brutta persona sono solo io e non tutte le persone di questo pianeta, che idea ti fai? Ti fai l’idea che sei solo e che se i tuoi bisogni non li soddisfi tu, non ci penserà nessuno. A costo che per avere quello che vuoi devi trattare male qualcun altro o le sue cose. Hai imparato anche non fidarti di nessuno. Ma ci mancherebbe: nessuno ti ha insegnato alternative.

Chi cresce in un ambiente “cattivo” e anaffettivo, e scopre che per adattarsi e sopravvivere nel mondo deve essere almeno un po’ cattivo se no le prende, come sarà da grande?

Predisposizioni caratteriali, educazione, esperienze, e altre cose contribuiscono a fare diventare un po’ più le persone antisociali di quanto lo sarebbero altrimenti.

Queste cose bastano? No, non bastano. Ora viene la parte più difficile.

Con Psicologia senza Poesia, discutiamo molto di emotività (forse ormai c’è un video per ogni tipo di sensazione che possiamo provare).

Abbiamo parlato di come le nostre emozioni facilitano o inibiscono i nostri comportamenti.

Ansia, vergogna, rabbia, invidia, gelosie, ….

La vergogna

Gli antisociali potrebbero avere un disturbo della vergogna al contrario. Lo sai, chi ha ansia sociale prova troppo vergogna, troppo presto e troppo spesso. Gli antisociali al contrario. Possono fare pipì dal balcone di casa loro, possono rubare una macchina, possono appiccare un incendio senza ne paura ne vergogna di essere scoperti. Ricordiamoci che la vergogna è la paura di essere disapprovati ed è la peggiore punizione sociale. Cioè, la gente che non riesce a superare la vergogna per aver fatto qualcosa di estremamente grave può pure togliersi la vita.

E poi? Ovvio.

La rabbia

Gli antisociali sono arrabbiati. Ragionevolmente possono essere arrabbiati col mondo che non è mai forse stato troppo buono con loro. E come facciamo a gestire la rabbia, cioè come facciamo a calmarci quando siamo arrabbiati? Molto spesso lo facciamo con comportamenti aggressivi.

Mi hai appena fatto venire in mente una cosa.

Nel nostro DNA tra i tanti regolatori dell’umore e del comportamento ce n’è uno bellissimo. Forse il più importante della specie umana. Quello che fa di noi l’animale più socievole del pianeta.

L’interruttore della reciprocità. Ognuno di noi è biologicamente determinato a ricambiare. Tu mi dai una cosa? Immediatamente penso che te ne devo dare 2. Lo so che è così pure per te.

La fregatura di quest’interruttore è che quando è spento si accende quello del risentimento e della vendicatività.

Un sacco di persone nutrono rancore e risentimento e sperano che succeda qualcosa di brutto ad altre persone. Soprattutto a quelle che crediamo che non hanno fatto abbastanza nei nostri confronti. Mi sono confuso. Ci sono persone che credono di aver fatto molto per X, ma se X non ricambia o credono che non ha ricambiato abbastanza, lo vogliono vedere morto. È un po’ la natura dell’essere umano.

Questa cosa è una bestialità, ma siamo sempre li, se dentro di noi abbiamo queste cose, significa che ci hanno permesso di evolverci come specie e quindi di creare società così complesse come le conosciamo oggi.

Società basate sulla reciprocità in cui ognuno di noi deve tendenzialmente fidarsi del prossimo e fare del suo meglio.

Le caratteristiche antisociali di ognuno di noi sono pertanto fondamentali anche per riconoscere e provare a cambiare le cose che non funzionano abbastanza bene o le più brutte delle ingiustizie.

Io la vedo così.

Sono le caratteristiche personali che ci liberano dall’oppressione e dall’obbedienza incondizionata.

Attenzione però a quando pensiamo di essere delle vittime e vittime non lo siamo.

Ora possiamo approfondire…

La differenza tra il disturbo antisociale di personalità e gli psicopatici.

Le cose fin qui dette, se le mettiamo tutte insieme a livelli esasperati otteniamo gli psicopatici.

Alcuni dicono che gli psicopatici sono cattivi perché non sono empatici: secondo me è falso.

Ti ricordi cos’è l’EMPATIA?

L’empatia è quella cosa che si serve a decodificare l’emotività altrui.

 Io sono empatico quando riconosco che tu sei triste senza essere triste pure io. Questa cosa fa sì che magari ti offro un gelato. Cioè mi accorgo che sei triste ed agisco un comportamento che possa compensare la tua tristezza.

Uno psicopatico capisce benissimo se sei triste o sei hai paura e a lui fa piacere. Una persona normale, se incontra uno che ha paura, cerca di consolarlo e rassicurarlo. Uno psicopatico ne gode e anche molto. A questo livello, oltre a non funzionare la vergogna non funziona il senso di colpa.

Non funzionano VERGOGNA e SENSO DI COLPA

In questi tipi di antisociali si può parlare di un vero e proprio disturbo del senso di colpa, ma non perché funziona troppo, ma proprio perché non funziona proprio.

I serial killer dei film godono quando procurano sofferenza. Questa è la cosa assurda. Uccidono per il piacere di uccidere. I motivi potrebbero essere infiniti e la poesia si spreca, per avere controllo sul mondo, per vendicarsi delle ingiustizie subite da piccoli, ecc.… ecc.… Tutte cose che potrebbero essere vere, basta chiedere agli interessati.

Sangue e sofferenza anziché procurare disgusto e angoscia provocano piacere.

Una cosa è certa, alcune persone assumono comportamenti antisociali mossi da motivazioni positive e molto sociali, ad esempio Carola Rakete:

Trasgredire le leggi e scagliarsi contro l’autorità per promuovere la giustizia sociale.

Altre persone invece sono antisociali a tutti gli effetti perché non hanno nessun fine costruttivo ma solo distruttivo e vendicativo.

Psicologo sociale e del lavoro, specialista in psicoterapia cognitiva e comportamentale. Si definisce uno "Psicologo Seriale".

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Psicologia clinica

Noia, Angoscia e Disperazione

Cos’è la noia? Cos’è l’angoscia? Cos’è la disperazione? Perchè la noia può determinare un angosciante senso di vuoto?

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Scusatemi. Mi dispiace. La settimana scorsa non sono riuscito a pubblicare il contributo settimanale. Sono un po’ incasinato e ho poco tempo.

Mi sono però venute in mente alcune cose:

 Noi siamo fatti per fare cose.

Gli esseri umani devono fare cose.

 È la nostra natura. Non siamo più scimmie che amano stare sugli alberi a masticare foglie. Non ci possiamo fare niente. È vero che quando abbiamo troppe cose da fare, ci stanchiamo e magari diventiamo stressati e insofferenti, ma è anche vero che quando non abbiamo niente da fare per un bel po’ soffriamo di più: soprattutto se ci sentiamo anche soli.

Da sempre le persone, all’interno delle loro comunità sono sempre state abbastanza impegnate. Il tempo per dormire non è mai stato abbastanza. C’era sempre qualcuno che doveva andare al fiume a lavare i panni, qualcuno che doveva riparare il tetto di paglia e qualcun altro che doveva attraversare la foresta per portare buone o brutte notizie. Praticamente l’evoluzione sociale ha portato l’umanità a capire come fare meno cose per stancarsi di meno e per questo certe volte i figli non sono mai stati abbastanza. Forza lavoro semplice da mandare o a zappare o in guerra.  Ora, dopo 200mila anni di storia ci è quasi riuscita. Ma qui viene il bello. Perché se abbiamo sempre lottato per farci sfruttare il meno possibile, adesso il problema è opposto, nessuno sembra volerci più sfruttare e stiamo diventando praticamente inutili.

la cosa ancora più brutta è che se non abbiamo niente da fare ma gli altri invece qualcosa sembrano farla, è ancora peggio, perché siamo anche soli.

L’altra volta ero in macchina e alla radio passa una canzone, che fa così:

“ti ricordi quell’estate, in modo anche se pioveva, e poi se tornerai, riconquisteremo il mondo”.

Lo so, è una canzone degli 883, ma mi sono commosso lo stesso. Che ci posso fare.

Mi era tornato in mente un mio carissimo amico che non so per quale motivo non frequento più. Cioè, credo che ad un certo punto della sua vita abbia deciso che non c’era più motivo di frequentarci. Non abbiamo mai litigato.

E poi una dietro l’altra ho pensato a tutte quelle persone che ci hanno lasciato, anche io avevo nonni fantastici. Insomma, ho pensato a tutte quelle persone che ogni tanto la loro assenza ci fa sentire un po’ più soli.

Nessuna attività da fare + nessuna persona da incontrare = CATASTROFE.

Ti capita? Certo che ti capita.

Ed è un problema.

Questa volta vorrei parlare di questa cosa.

Ok, la conosci le passanti di Fabrizio de Andrè? No, non la conosci.

Immagini care per qualche istante
Sarete presto una folla distante
Scavalcate da un ricordo più vicino
Per poco che la felicità ritorni
È molto raro che ci si ricordi
Degli episodi del cammino

Ma se la vita smette di aiutarti
È più difficile dimenticarti
Di quelle felicità intraviste
Dei baci che non si è osato dare
Delle occasioni lasciate ad aspettare
Degli occhi mai più rivisti

In queste due strofe c’è praticamente tutto. Il passato, con tutta la sua malinconia, lascia piacevolezza. Tristezza piacevole.

Non è il passato che condiziona il nostro stato emotivo presente, ma è il nostro presente che condiziona il nostro stato emotivo presente. È la spiacevolezza del presente che ci fa idealizzare il passato.

Ti ricordi quando ci siamo raccontati che lo stress è uno stato di tensione emotiva?

Ogni volta che abbiamo qualcosa da fare, perché la dobbiamo fare, siamo più o meno stressati in modo piacevole o spiacevole. Tutto quello che facciamo serve a riportarci ad un sopportabile o piacevole equilibrio emotivo. Giusto? Giusto.

Cosa succede quando non abbiamo niente da fare?

Ci annoiamo.

 La noia non è altro che uno stato personale totalmente privo di ogni tipo di tensione emotiva. Sei, triste? No. Sei Felice? No. Sei arrabbiato? No. Hai paura? No. Perfetto. Sei annoiato.

La noia è anche bella. Hai in mente quando facciamo qualcosa di importante? O raggiungiamo un obiettivo significativo? Bene. Dopo la gratificazione iniziale, quella che segue è una fase di noia. Bellissimo. Quello stato in cui tutto sembra non avere importanza. Siamo soddisfatti e ci godiamo il bel niente. Magari mettiamo un disco che non mettevamo da un bel po’ perché non avevamo neanche il tempo di pensare che l’avevamo ancora.

Bellissimo.

Ma che succede quando questo stato di noia è eccessivamente prolungato?

Cominciamo ad avvertire il vuoto.

Il vuoto emotivo non è altro che uno stato prolungato di noia. Uno stato in cui non solo non facciamo niente, ma non abbiamo un piano, un programma, delle aspettative. Mamma mia.

Bruttissimo.

La fregatura delle fregature è che il vuoto può diventare angoscia e l’angoscia  è devastante.

L’angoscia è quel peso insostenibile fatto di vuoto, disperazione e ansia.

Una tristezza profonda determinata dalla sensazione di non avere niente, nemmeno la speranza.

 E l’ansia determinata dalla sensazione di non avere possibilità o capacità di poterne uscire fuori.

E quindi che si fa. Come che si fa. Non ci stiamo cominciando a capire?

Fai qualcosa. Cosa? Qualsiasi cosa mannaggia. Non lo sai? Lo so.

Almeno comincia a pensarci.

Serve un piano.

Anche perché il rischio è che la fase successiva sia cominciare a pensare al suicidio e poi cominciare seriamente a prenderlo in considerazione. Cioè il suicidio sembra una via d’uscita e paradossalmente il piano per la nostra vita diventa pianificarne la fine. Non scherziamo.

Hai mai avuto il commodore 64? Io si. Ogni tanto mi ricordo quanto era bella giocare col commodore, ma diciamoci la verità i giochi facevano schifo. Erano bellissimi ma rispetto a quelli di ora, facevano schifo. Cioè solo chi non si gode la realtà continua a credere che era meglio prima.

Io i nonni non li ho più però quando guardo i miei figli con i miei genitori mi rendo conto che sono tornati.

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Generale

La psicoterapia cognitiva comportamentale non cura “solo il sintomo”

la psicoterapia cognitivo comportamentale non cura solo il sintomo. Questo pregiudizio nasce in contrapposizione agli altri modelli che…

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La terapia cognitiva comportamentale cura solo il sintomo?

Che vuol dire curare il sintomo?

L’altra volta un mio amico mi ha detto: “Sto cercando uno psicologo però non vorrei andare da un cognitivo comportamentale perché non ho un disturbo specifico, quindi non ho sintomi da curare. Mi piacerebbe di più parlare”.

Qualcosa di simile, il senso era questo.

Ma parlare di cosa del senso della vita? Dell’origine dell’universo?

Non credo.

Chi va dallo psicologo vuole risolvere il proprio disagio emotivo.

Se mi fa male una gamba e vado dal dottore, mica gli dico: “guarda, della gamba non mi interessa poi così tanto. Vorrei parlare dei sacramenti. Tu che ne pensi”.

Quindi,

 dallo psicologo ci vanno le persone che vivono un disagio emotivo più o meno complesso, più o meno intenso e più o meno prolungato nel tempo.

Sulla psicologia e sugli psicologi ci sono tanti pregiudizi e tanti stereotipi, questo è uno dei tanti ed in particolare si rivolge agli psicologi psicoterapeuti specialisti in terapia cognitiva comportamentale.

Vorrei approfittarne per chiarire alcune cose.

La terapia cognitiva comportamentale non cura i sintomi ma la persona nella sua totalità.

La credenza che la psicoterapia cognitiva comportamentale si concentrasse eccessivamente nella cura del “sintomo” si è diffusa in contrapposizione alle cosiddette terapie del profondo, tipo la psicanalisi.

Ci sono stati anni in cui i modelli psicoterapeutici erano in forte contrasto ed anche in competizione tra loro.

Tra le fazioni i cognitivisti accusavano gli psicoanalisti di perdersi in chiacchiere con la scusa di fare terapie inconcludenti che duravano secoli ma che loro definivano necessarie per curare davvero la persona in tutta la sua complessità e profondità;

e gli psicoanalisti accusavano i cognitivisti o comportamentisti di fare terapie eccessivamente concentrate sui sintomi che funzionavano all’inizio ma che poi alla lunga la malattia sarebbe ricomparsa.

Da parte mia posso dire e confermare che il fatto che la terapia cognitiva comportamentale si preoccupa di curare solo il sintomo è assolutamente falso, oltre che farlo sarebbe inutile.

Credo che tutti i modelli psicoterapeutici ormai si approccino alla persona in quanto tale.

il “sintomo”, rappresenta il problema attivo presentato dal cliente paziente ed esprime la difficoltà, la criticità che si vorrebbe approfondire e risolvere.

Per esempio, non serve che la persona dica: “sono depresso e penso di volermi suicidare tanto tutto è inutile”, per identificare 2 sintomi: Umore basso e assenza di speranza. Il solo fatto di dire: “sono insoddisfatto, penso che mi manchi qualcosa ma non so esattamente cosa”, frase che ogni tanto potremmo pensare e dire tutti” è di per sé sintomatica perché esprime un disagio emotivo. Un disagio emotivo che può essere semplice e lineare o complesso e strutturato ed è da queste prime dichiarazioni che bisogna approfondirne origine e complessità.

Quello che dico sempre è: “cominciamo a raccontarci le cose più facili ed ovvie e poi se non dovesse bastare, approfondiremo senza cadere in facili e magiche interpretazioni.

Esattamente come ispira il principio del rasoio di Occam che alla fine è il principio che orienta la scienza.

Ne hai mai sentito parlare? Te lo racconto brevemente. Ce ne sono mille versioni ma sinteticamente la storia è questa: una volta un signore ha trovato un oggetto dalla forma strana durante degli scavi archeologici  e allora tutti gli archeologici, storici e filosofi del mondo si sono riuniti per capire cos’era. Qualcuno diceva è uno strumento di misurazione del tempo, qualcun altro addirittura diceva che serviva ad aprire un portale extra dimensionale per gli alieni. Alla fine, ad un certo punto uno dice: “Signori, è un rasoio. Rilassatevi. Questa pietra prima era affilata e la usavano per farsi la barba”.

Posso confermare che “il profondo” se necessario, è approfondito pure dai comportamentisti, nel momento in cui fanno un’analisi e una valutazione delle esperienze di vita precoci che se particolarmente spiacevoli, hanno potuto predisporre, determinare e condizionare negativamente la crescita della persona.

In ogni caso,

smettiamola di cadere nel tranello fomentato ultimamente pure dai vari counselor e coach che dicono che dallo psicologo ci vanno quelli che hanno un disturbo psicologico preciso mentre da loro ci vanno quelli che vogliono parlare di come diventare campioni ricchi e forti.

 A parte che non sarebbero capaci di riconoscere chi ha un disturbo psichiatrico da chi non ce l’ha, queste persone giocano a fare gli psicologi esercitando abusivamente la professione.

Ma va bene così, andiamo dove vogliamo. Sono secoli che nella maggior parte dei casi basta andare dal prete o nei casi peggiori dal barbiere.

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Psicologia clinica

La Gelosia

Cos’è la gelosia? perché può essere pericolosa? Come si riconosce la gelosia? Come si gestisce e si controlla la gelosia?

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A proposito di Gelosia…

Come per le altre emozioni, proviamo a vederci più chiaro.

Cos’è la gelosia? Come funziona? Come la gestiamo?

Sicuramente non sarò esaustivo, non è possibile esserlo in questo modo, ma spero almeno di essere un po’ utile.

Se hai letto gli altri contributi, dovresti sapere che l’attivazione emotiva dipende da come interpretiamo quello che sta succedendo.

Ogni volta che succede qualcosa, la nostra mente osserva, interpreta e giudica. Lo fa continuamente. Se qualcosa per la nostra mente è rilevante, allora attiva l’emozione che ritiene più opportuna. Così facendo, la nostra attenzione selettiva viene coinvolta ed agiamo nel modo che a nostro avviso ci riporterà alla serenità.

D’altra parte,

ogni nostro comportamento potrebbe essere un piano finalizzato all’equilibrio emotivo.

  • Ho paura dei cani? L’ansia va su. Entro in macchina? L’ansia va giù.
  • Mi sorpassi da destra? La rabbia va su. Ti grido contro? La rabbia va giù.

Ansia e rabbia sono emozioni semplici ed elementari.

Se non l’hai già fatto, potresti leggere cosa sono ansia e rabbia perché la gelosia è complessa e composta prevalentemente da queste due emozioni.

La Gelosia si compone di Ansia, rabbia e una relazione sociale romantica, amicale, familiare, lavorativa, ….

Se l’ansia ci mette in allarme circa una probabile minaccia dalla quale dobbiamo difenderci, la rabbia è la più automatica strategia di difesa.

Quando pensiamo che potremmo essere feriti e quindi crediamo di poter vivere una situazione di pericolo possiamo adottare prevalentemente tre strategie. Non reagire-scappare, reagire male o reagire bene.

Quando non reagiamo, perché pensiamo che tanto sarebbe inutile tanto non avremmo scampo, allora cominciamo a diventare tristi rassegnandoci all’inevitabile perdita.

Se invece scegliamo di reagire uno dei modi per farlo male è quello di attaccare.

Ci arrabbiamo quando pensiamo che una regola che per noi è importante è stata infranta e soprattutto se a causa di questa violazione stiamo perdendo una cosa importante.

  • Mi superi a destra. Non si fa. Potevo farmi male. Ti inseguo gridando perché devo illudermi di poterti ferire (rabbia).

Adesso sono sicuro che stai cominciando a capire cos’è la gelosia.

  • Tu sei mia. Quello che fai non si fa. In questo modo potrei perderti. Devo difendermi. (Ansia+Rabbia).
  • hai salutato a quello? Quello ti vuole. Non dovevi parlargli tutto sto tempo. Io non do la colpa a quello. Io do la colpa a te. Sei una XXX.

Nel “geloso”, non bisogna inoltre trascurare una certa insicurezza e sensazione di vulnerabilità trascurata e non del tutto consapevole.

“Se tu sei mia, ma posso perderti è perché probabilmente io non sono abbastanza forte da saperti conservare”.

Come ogni altra emozione, anche la gelosia agisce su vari livelli. Può andare dal semplice fastidio e dalla semplice irritazione che al massimo ci fa mettere il broncio per un po’, alla sensazione di disperazione più estrema con ira funesta che distrugge tutto ciò che di più caro abbiamo vicino solo per avere quell’effimero ma potentissimo sollievo immediato. Le conseguenze dopo quel sollievo le conosciamo tutti.

La catena comportamentale potrebbe essere questa:

  1. Regola fortissima. Rigida doverizzazione.
  2. Frustrazione
  3. Catastrofizzazione
  4. Giudizio

Ad esempio: Tu devi fare così, così e così. Invece fai questo, questo e questo. (REGOLE); Perché se non fai così io non lo sopporto e non posso sopportarlo (FRUSTRAZIONE); In questo modo tutto sarà un disastro più totale ed un casino assoluto (CATASTROFIZZAZIONE); In questo modo tu sei una XXXXXX ed io faccio la figura del XXXXXXXX (GIUDIZIO); Tutto questo non posso accettarlo e lo impedirò.

La gelosia è strana perché spesso ci fa amare la stessa cosa che ci spaventa.

Altre volte si riversa su altre: amo te ma sono geloso di Y.

Tutto quello che ci siamo detti, naturalmente non riguarda solo gli uomini.

Riconoscere le proprie emozioni, i propri pensieri ed i propri comportamenti anche in questo caso è quindi necessario per ritrovare una maggiore e più adeguata serenità.

Sò che la gelosia non si esaurisce in queste poche righe. Per me era solo importante riuscire a definire in confini dentro il quale la gelosia si muove.

Approfondimento col video seguente (GELOSIA 2)

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