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Psicologia del lavoro

Fare il politico è un lavoro?

Perché fare il politico è un lavoro? Perché il politico si muove tra la passione e la corporazione?

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tra passione e corporazione

Un mio amico mi ha detto che fare il politico non è un lavoro.

Ovviamente lo è ma lui provava a convincermi del contrario.

Non mi ha convinto e ne vorrei parlare.

Prima di tutto ho preso atto del fatto che ci sono persone che credono che fare il politico non sia un lavoro.

Va bene.

Secondo, anche io ho riflettuto sul perché per me fosse scontato che un lavoro lo è, a tutti gli effetti e senza dubbio.

Parto dal presupposto che considero un lavoro, una qualsiasi attività individuale fatta con regolarità, supportata da competenze più o meno specifiche, in cambio di qualcosa, grazie al fatto che soddisfa bisogni personali e collettivi.

Quindi:

  1. Attività individuale che può essere più o meno organizzata in autonomia o in qualche forma cooperativa;
  2. Regolarità e quindi prevedibilità;
  3. Fondata su competenze; competenze che possono essere più o meno semplici o complesse. Di questo ne abbiamo parlato e ne riparleremo;
  4. Ricompensata, cioè non fatta per la gloria o con spirito di abnegazione e annullamento personale;
  5. Finalizzata al soddisfacimento di bisogni reciproci. Io lavoro perché così quel qualcosa che ho in cambio lo uso per soddisfare i miei bisogni; tu accetti il mio lavoro perché così soddisfi bisogni tuoi e per questo mi ricompensi.

Per questo motivo fare la casalinga non è un lavoro.

A mio avviso, già questo basterebbe per affermare che fare il politico è lavorare.

Perché quindi alcune persone non considerano fare il politico un lavoro?

Perché pensano che non sia fondato su competenze? Scherzo. Il politico fonda la sua prestazione su competenze. Sulla tipologia della competenza politica reale ne abbiamo parlato in questo video.

Allora, dove nasce l’equivoco? Sulla ricompensa rapportata alla prestazione e sulle modalità di rilascio? Ora noi possiamo continuare a ridere, ma in effetti potrebbe nascere anche da questo. Non è così ma potrebbe.

Siamo portati a credere che i politici guadagnino tantissimo. In realtà, i consiglieri dei piccoli comuni guadagnano 4 spicci in gettoni di presenza. è anche per questo che magari il livello di competenza è basso. Magari le persone che potrebbero offrire un contributo considerevole, sono lavorativamente affermate, hanno altre priorità e altre ambizioni e non si candidano nemmeno; Se si candidassero non vincerebbero lo stesso; ma questo è un altro discorso, come il fatto che si candidano e magari vincono.

In ogni caso è prevista una retribuzione formalizzata e questo basta al nostro ragionamento. Il politico eletto non presta attività di volontariato.  Fortunatamente ci sono persone che a prescindere dalla ricompensa si spendono sul territorio con adeguata motivazione e competenza.

Magari il senso di appartenenza alla comunità è così alto che la strada pulita conta quanto la parete imbiancata di casa propria.

Sono però convinto che molto più spesso, per molti, diventare consigliere comunale rappresenti il primo passo per aspirare ad una carriera ben più ambiziosa.

La possibilità di carriera è una caratteristica dei lavori organizzati e complessi. Significa che magari qualcuno bravo comincia da consigliere di quartiere proprio perché sa che quello è il primo passo sperando che un giorno diventi onorevole. Quanti ci diventano pochi.

Moralismi a parte, secondo me anche i consiglieri comunali dei piccoli comuni dovrebbero avere uno stipendio decente, fisso e con una parte ancorata alla prestazione: così forse aumenterebbe la qualità dei selezionabili, “dei candidati”.  Se i comuni sono piccoli? accorparli. Quanto piccoli? Non lo so.

Ecco, un’altra caratteristica che fa della politica un lavoro e che si viene scelti da chi ci paga.

E quindi? Perché l’amico mio dice che la politica non è un lavoro? E magari altri, magari anche tu, potresti essere d’accordo con lui?

Perché lui lo fa per passione. Di questo ne sono sicuro. Conosci il detto: “la passione non fa sudare o leva ogni fatica”? Chi lavora per passione non percepisce quello che fa come un lavoro ma lo carica di significati e rappresentazioni. Lui non partecipa ai consigli a muzzo, lo so e ne sono sicuro. Lui si prepara. Promuove iniziative di sua spontanea volontà e si impegna per realizzarle. Lo fa perché fare il politico gli piace proprio.

Lo fa per la gloria? Non credo. Lo farebbe gratis? Non credo nemmeno. Ma qui poesia non ne facciamo, è giusto essere pagati e pensare di poter fare carriera. è normale.

E allora? Perché è convinto che fare il politico non sia un lavoro? Lui dice: “è un incarico istituzionale” Che significa non lo so. Assecondando questa logica anche fare il carabiniere o l’insegnante non dovrebbe essere considerato un lavoro.

Come dicevamo, alcuni di noi sovraccaricano di valore il proprio lavoro a tal punto da farlo diventare estremamente identitario e motivato da spirito vocazionale. Tipo i “preti”. Ma no i preti di qualche secolo fa che facevano i preti sotto consiglio dei propri familiari: “senti qua, ho parlato col vescovo che è amico mio. Domani ti aspetta che ti fa diventare prete. Stipendio sicuro e bella vita. Il castello e i terreni vanno a tuo fratello”.

I preti di ora sono vero vocati e per questo è difficile trovarli. il prete non la fo più nessuno.

Cambieranno le regole, si potranno sposare e ci sarà di nuovo la fila.  

Ci sono persone che percepiscono il proprio lavoro come una vocazione, come una chiamata.

Quando si dice: “tu non fai il poliziotto. Tu sei uno sbirro dentro”. È esattamente questo.

Ho un cugino carabiniere che non fa il carabiniere perché c’è diventato per caso. Lui è un carabiniere sempre. Ha deciso di diventarlo. Ha pure sventato una rapina quando non era in servizio. Ad avercene carabinieri così. È sicuramente vocato.

E lo stesso è quest’amico, Lui è un politico sempre, ma non da propaganda: d’azione.

L’ultima delle mie intenzioni e fare l’elogio dei politici, quindi dove sta la fregatura; perché la fregatura per noi c’è e potrebbe essere anche bella grossa.

La politica tra passione e corporazione

La maggior parte di noi tende a considerare il proprio lavoro come il più importante tra i lavori. Ognuno di noi pensa che col proprio lavoro meriterebbe di sfondare e di diventare miliardario.

Alcuni lavoratori inoltre tendono a legarsi ad altri lavoratori che fanno lo stesso lavoro e a volte si associano formalmente.

Ogni associazione di lavoratori tenderà a far prevalere i propri valori e le proprie credenze circa ruoli, responsabilità e meriti della propria categoria.

Quando queste categorie diventano così forti da incidere sensibilmente sulla vita pubblica di una nazione e magari nell’equazione della reciprocità prevalgono eccessivamente gli interessi della categoria sottomettendo i bisogni di chi di quella categoria si serve, allora parliamo di lobby e corporazioni.

Ogni tanto parliamo di corporazione dei medici, degli avvocati e anche dei tassisti, potrebbero essercene tante.

Magari alcuni di questi lavoratori sono anche politici e quindi riescono ad assecondare meglio gli interessi della loro categoria di riferimento. Ci sono comunque politici che non lo sono e che contrastano questo conflitto di interessi.

La fregatura delle fregature però è che in ogni caso, tutti i politici, quando sono insieme, insieme sono tutti politici e quindi anche se per gli altri lavori possono divergere nel concordare le regole che non li riguardano; le loro regole se le scrivono da soli e di conseguenza possono pure scriversi che fare il politico è una missione spirituale voluta da Dio.

Esattamente come i faraoni dicevano di essere Dio e magari qualche faraone ci credeva davvero.

Psicologo sociale e del lavoro, specialista in psicoterapia cognitiva e comportamentale. Si definisce uno "Psicologo Seriale".

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