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Psicologia del lavoro

L’importanza dei Maestri

8 studenti di Enrico Fermi hanno vinto il premio Nobel per la fisica. Incontrare bravi maestri può cambiarci la vita.

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Sta per ricominciare la scuola, è appena cominciata o sta per finire. Dipende dal momento in cui stai leggendo questo contributo.

In ogni caso, mi è venuto in mente di parlare di maestri.

Per maestri però non intendo quelli che insegnano negli asili: intendo Maestri.

Ho letto un libro sulla bomba atomica, quello di Roberto Mercadini.

Non parla solo della bomba, parla di persone e parla soprattutto di Enrico Fermi.

L’avrai sentito nominare, Enrico Fermi è stato uno di quelli senza il quale la bomba atomica nemmeno sarebbe stata pensata. Sinteticamente, aveva capito che il nucleo dell’atomo poteva essere modificato ed è riuscito a modificarlo.

Fermi, non si è solo scontrato con la credenza diffusa dell’atomo indivisibile affermando che si poteva fare, lo ha anche dimostrato.

Non voglio parlare né di Enrico Fermi, né di bomba atomica. Vorrei parlare di maestri.

Delle persone che hanno imparato da Enrico Fermi, 8 hanno vinto il premio Nobel per la fisica. OTTO.

Enrico Fermi è stato un MAESTRO.

Pensavo a quanto è importante incontrare le persone giuste nella nostra vita, persone che ci cambiano e fanno in modo che ognuno di noi possa esprimere il meglio di sé e tutto il proprio potenziale.

Ognuno di noi è il risultato di tutte le persone che ha incontrato ed il prodotto di tutte le cose che ha imparato.

Eppure, viviamo una società dove le persone sono appiattite all’interno delle organizzazioni in cui lavorano.

Secondo il nostro sistema scolastico, almeno sulla carta, se sei un decente, perché sei stato scelto per fare il docente vincendo il concorso o la selezione che dovevi vincere, allora sei uguale a tutti gli altri che hanno vinto lo stesso concorso. SBAGLIATO. Questo vale per tutte le selezioni, ma nel mondo della scuola credere una cosa simile è molto grave perché non è solo falso, è anche pericoloso e fa danni.

Siamo ancora convinti, che ognuno di noi, a parità di formazione e a parità di istruzioni sul lavoro può rendere allo stesso modo degli altri. Sbagliatissimo. Ancora non riusciamo ad accettare che ognuno di noi possiede caratteristiche psicologiche uniche che lo rendono unico anche sul lavoro.

Secondo te, se avevi UMBERTO ECO come professore a Bologna, era la stessa cosa di avere mio zio Pino all’Università della strada?

Di fatto però, se diamo per scontato che non tutte le scuole sono uguali per il contesto in cui sono inserite o gli investimenti di cui godono, perché non facciamo lo stesso ragionamento sulle persone che vi insegnano.

Se ipotizziamo che in media tutti i docenti sono molto simili tra loro, trascuriamo che ci sono le eccellenze ma anche i loro opposti. Di fatto, non premiamo i primi, ne puniamo i secondi.

Ho sintetizzato in modo estremo queste cose in questo grafico.

Grossolanamente ci limitiamo a pensare che insegnare sia trasmettere contenuti. Anche, ma non basta. Per trasmettere contenuti bene bisogna coinvolgere emotivamente chi ci ascolta. Immaginiamo che le due abilità principali dei maestri siano quelle di trasmettere contenuti di altissimo valore coinvolgendo con la loro passione i loro interlocutori. Questi sono i veri maestri. Chi più chi meno. Senza il coinvolgimento abbiamo i professoroni noiosi, quelli parlano da soli, rigidi e chiusi al confronto, molto preparati ma molto noiosi.  Poi abbiamo i professori che abbiamo amato. Quelli che però magari non ci hanno insegnato molto ma magari ci hanno semplicemente intrattenuto. Quelli che se incontrati da adulti sarebbero ottimi compagni di sbronze. Ottimo coinvolgimento ma incapaci di trasmettere contenuti decenti e che ci torneranno utili. Probabilmente abbiamo anche incontrato insegnanti incapaci di fare entrambe le cose. Quelli che si ritrovano in aula per puro caso e che nemmeno loro sanno cos’è andato storto nella loro vita per trovarsi li.

Eppure, gli insegnanti, possono sensibilmente cambiare il destino di ognuno di noi.

Ricordo che tutti i professori delle scuole medie dicevano ai miei genitori che non avrei dovuto iscrivermi allo scientifico e che al massimo avrei dovuto fare una scuola tecnica.

Riflettendoci oggi, non so nemmeno cosa avrei dovuto fare esattamente per loro: ragioneria? Industriale? Geometra? Non lo so. Di fatto, il messaggio che davano ai miei genitori non era orientativo, non suggerivano cosa avrei fatto bene, dicevano cosa avrei fatto male.

Tu sei stato mai un docente? Io si. E tra gli insegnanti credo che sia condivisa questa cosa. I secchioni vanno ai licei, i mezzi mezzi agli istituti tecnici, gli scarsi all’alberghiero e chi non ne vuole sapere di studiare, va agli istituti professionali perché comunque devono andare a scuola fino a 16 anni.

 Ancora ai giorni nostri, si trascurano parte delle responsabilità. Se a scuola, gli studenti sono bravi, dipende anche dai docenti.

I ragazzi non sanno molto bene alla loro età quali sono le loro aspirazioni, le loro motivazioni, le loro passioni ed il loro potenziale. Tutto deve essere ancora definito.

Personalmente, ho frequentato e completato il liceo scientifico. Il primo insegnante di Filosofia era preparato, motivato e coinvolgente. Al terzo anno mi convinco che mi piaceva la filosofia. La prima insegnante di chimica invece era impreparata, demotivata e strafottente.

Mi convinco che la chimica non mi piace.

In realtà, il mio modo di pensare è scientificamente orientato, da sempre, per questo oggi sono uno psicologo che tenta di promuovere la scientificità della psicologia.

Magari se avessi avuto professori di chimica motivati e di filosofia strafottenti, oggi sarei un astronauta.

O se addirittura i miei genitori fossero stati particolarmente disinteressati, oggi manco avrei il diploma.

Se inoltre, anche i miei genitori fossero stati disimpegnati nel trasmettermi l’importanza dello studio, e io avessi abbandonato precocemente la scuola, oggi avrebbero potuto dire: “gli insegnanti alle medie dicevano che studiare non era cosa sua”.

Deresponsabilizzando sia loro stessi che me. Era semplicemente il mio destino. È colpa del destino.

Per concludere,

Scuole pubbliche e scuole private sono diverse e perseguono obiettivi diversi perché i loro clienti sono diversi. Sperando di non polemizzare.

Se le scuole funzionassero razionalmente, le scuole private dovrebbero cercare di ingaggiare-assumere i docenti migliori pagandoli di più, per il semplice fatto che chi vorrebbe frequentare le scuole private dovrebbe desiderare l’istruzione migliore possibile e non un “pezzo di carta”. Le scuole pubbliche invece dovrebbero organizzarsi per garantire, ai contesti più a rischio di emarginazione e dispersione, gli insegnanti migliori.

Che significa? Significa questo.

Se insegni in un quartiere dove non vuole andare a lavorare nessuno ti pago di più, ma prima devi dimostrarmi che sei più bravo degli altri: sia in termini di coinvolgimento, sia in termini preparazione.

Da istituzione pubblica, dovresti pure accettare che gli insegnanti vogliono prevalentemente andare a lavorare nei licei. Eppure, per certi versi, insegnare nei licei è più facile. Gli studenti probabilmente sono più diligenti.

L’Istituzione dovrebbe quindi differenziare e capire che servono persone brave da mettere negli istituti professionali incentivandole.

Altrimenti, i docenti o vanno via subito o chiedono trasferimento il prima possibile.

È arrivato il momento di investire concretamente nella formazione di ogni singolo cittadino per il bene della collettività, senza più relegare fin dalla giovinezza il destino dell’adulto alla fortuna.

Psicologo sociale e del lavoro, specialista in psicoterapia cognitiva e comportamentale. Si definisce uno "Psicologo Seriale".

Psicologia del lavoro

Fare il politico è un lavoro?

Perché fare il politico è un lavoro? Perché il politico si muove tra la passione e la corporazione?

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tra passione e corporazione

Un mio amico mi ha detto che fare il politico non è un lavoro.

Ovviamente lo è ma lui provava a convincermi del contrario.

Non mi ha convinto e ne vorrei parlare.

Prima di tutto ho preso atto del fatto che ci sono persone che credono che fare il politico non sia un lavoro.

Va bene.

Secondo, anche io ho riflettuto sul perché per me fosse scontato che un lavoro lo è, a tutti gli effetti e senza dubbio.

Parto dal presupposto che considero un lavoro, una qualsiasi attività individuale fatta con regolarità, supportata da competenze più o meno specifiche, in cambio di qualcosa, grazie al fatto che soddisfa bisogni personali e collettivi.

Quindi:

  1. Attività individuale che può essere più o meno organizzata in autonomia o in qualche forma cooperativa;
  2. Regolarità e quindi prevedibilità;
  3. Fondata su competenze; competenze che possono essere più o meno semplici o complesse. Di questo ne abbiamo parlato e ne riparleremo;
  4. Ricompensata, cioè non fatta per la gloria o con spirito di abnegazione e annullamento personale;
  5. Finalizzata al soddisfacimento di bisogni reciproci. Io lavoro perché così quel qualcosa che ho in cambio lo uso per soddisfare i miei bisogni; tu accetti il mio lavoro perché così soddisfi bisogni tuoi e per questo mi ricompensi.

Per questo motivo fare la casalinga non è un lavoro.

A mio avviso, già questo basterebbe per affermare che fare il politico è lavorare.

Perché quindi alcune persone non considerano fare il politico un lavoro?

Perché pensano che non sia fondato su competenze? Scherzo. Il politico fonda la sua prestazione su competenze. Sulla tipologia della competenza politica reale ne abbiamo parlato in questo video.

Allora, dove nasce l’equivoco? Sulla ricompensa rapportata alla prestazione e sulle modalità di rilascio? Ora noi possiamo continuare a ridere, ma in effetti potrebbe nascere anche da questo. Non è così ma potrebbe.

Siamo portati a credere che i politici guadagnino tantissimo. In realtà, i consiglieri dei piccoli comuni guadagnano 4 spicci in gettoni di presenza. è anche per questo che magari il livello di competenza è basso. Magari le persone che potrebbero offrire un contributo considerevole, sono lavorativamente affermate, hanno altre priorità e altre ambizioni e non si candidano nemmeno; Se si candidassero non vincerebbero lo stesso; ma questo è un altro discorso, come il fatto che si candidano e magari vincono.

In ogni caso è prevista una retribuzione formalizzata e questo basta al nostro ragionamento. Il politico eletto non presta attività di volontariato.  Fortunatamente ci sono persone che a prescindere dalla ricompensa si spendono sul territorio con adeguata motivazione e competenza.

Magari il senso di appartenenza alla comunità è così alto che la strada pulita conta quanto la parete imbiancata di casa propria.

Sono però convinto che molto più spesso, per molti, diventare consigliere comunale rappresenti il primo passo per aspirare ad una carriera ben più ambiziosa.

La possibilità di carriera è una caratteristica dei lavori organizzati e complessi. Significa che magari qualcuno bravo comincia da consigliere di quartiere proprio perché sa che quello è il primo passo sperando che un giorno diventi onorevole. Quanti ci diventano pochi.

Moralismi a parte, secondo me anche i consiglieri comunali dei piccoli comuni dovrebbero avere uno stipendio decente, fisso e con una parte ancorata alla prestazione: così forse aumenterebbe la qualità dei selezionabili, “dei candidati”.  Se i comuni sono piccoli? accorparli. Quanto piccoli? Non lo so.

Ecco, un’altra caratteristica che fa della politica un lavoro e che si viene scelti da chi ci paga.

E quindi? Perché l’amico mio dice che la politica non è un lavoro? E magari altri, magari anche tu, potresti essere d’accordo con lui?

Perché lui lo fa per passione. Di questo ne sono sicuro. Conosci il detto: “la passione non fa sudare o leva ogni fatica”? Chi lavora per passione non percepisce quello che fa come un lavoro ma lo carica di significati e rappresentazioni. Lui non partecipa ai consigli a muzzo, lo so e ne sono sicuro. Lui si prepara. Promuove iniziative di sua spontanea volontà e si impegna per realizzarle. Lo fa perché fare il politico gli piace proprio.

Lo fa per la gloria? Non credo. Lo farebbe gratis? Non credo nemmeno. Ma qui poesia non ne facciamo, è giusto essere pagati e pensare di poter fare carriera. è normale.

E allora? Perché è convinto che fare il politico non sia un lavoro? Lui dice: “è un incarico istituzionale” Che significa non lo so. Assecondando questa logica anche fare il carabiniere o l’insegnante non dovrebbe essere considerato un lavoro.

Come dicevamo, alcuni di noi sovraccaricano di valore il proprio lavoro a tal punto da farlo diventare estremamente identitario e motivato da spirito vocazionale. Tipo i “preti”. Ma no i preti di qualche secolo fa che facevano i preti sotto consiglio dei propri familiari: “senti qua, ho parlato col vescovo che è amico mio. Domani ti aspetta che ti fa diventare prete. Stipendio sicuro e bella vita. Il castello e i terreni vanno a tuo fratello”.

I preti di ora sono vero vocati e per questo è difficile trovarli. il prete non la fo più nessuno.

Cambieranno le regole, si potranno sposare e ci sarà di nuovo la fila.  

Ci sono persone che percepiscono il proprio lavoro come una vocazione, come una chiamata.

Quando si dice: “tu non fai il poliziotto. Tu sei uno sbirro dentro”. È esattamente questo.

Ho un cugino carabiniere che non fa il carabiniere perché c’è diventato per caso. Lui è un carabiniere sempre. Ha deciso di diventarlo. Ha pure sventato una rapina quando non era in servizio. Ad avercene carabinieri così. È sicuramente vocato.

E lo stesso è quest’amico, Lui è un politico sempre, ma non da propaganda: d’azione.

L’ultima delle mie intenzioni e fare l’elogio dei politici, quindi dove sta la fregatura; perché la fregatura per noi c’è e potrebbe essere anche bella grossa.

La politica tra passione e corporazione

La maggior parte di noi tende a considerare il proprio lavoro come il più importante tra i lavori. Ognuno di noi pensa che col proprio lavoro meriterebbe di sfondare e di diventare miliardario.

Alcuni lavoratori inoltre tendono a legarsi ad altri lavoratori che fanno lo stesso lavoro e a volte si associano formalmente.

Ogni associazione di lavoratori tenderà a far prevalere i propri valori e le proprie credenze circa ruoli, responsabilità e meriti della propria categoria.

Quando queste categorie diventano così forti da incidere sensibilmente sulla vita pubblica di una nazione e magari nell’equazione della reciprocità prevalgono eccessivamente gli interessi della categoria sottomettendo i bisogni di chi di quella categoria si serve, allora parliamo di lobby e corporazioni.

Ogni tanto parliamo di corporazione dei medici, degli avvocati e anche dei tassisti, potrebbero essercene tante.

Magari alcuni di questi lavoratori sono anche politici e quindi riescono ad assecondare meglio gli interessi della loro categoria di riferimento. Ci sono comunque politici che non lo sono e che contrastano questo conflitto di interessi.

La fregatura delle fregature però è che in ogni caso, tutti i politici, quando sono insieme, insieme sono tutti politici e quindi anche se per gli altri lavori possono divergere nel concordare le regole che non li riguardano; le loro regole se le scrivono da soli e di conseguenza possono pure scriversi che fare il politico è una missione spirituale voluta da Dio.

Esattamente come i faraoni dicevano di essere Dio e magari qualche faraone ci credeva davvero.

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