Connect with us

Generale

In Principio fu il COMPORTAMENTO

Cos’è il comportamento? Un comportamento è tutto ciò che l’organismo fa in interazione con l’ambiente-contesto.

Published

on

La psicologia studia il comportamento delle persone. Qualcuno lo sa già.

Ma… cos’è il comportamento? Meglio non darlo per scontato.

Il comportamento è tutto ciò che un oggetto fa in interazione con l’ambiente

L’ambiente non è la foresta.

L’ambiente è tutto quello che circonda chi si comporta.

Se lasciamo cadere una cosa, quella cosa si comporta, cioè cade, ma cade solo perché l’abbiamo lasciata cadere. Quella cosa cade rispondendo passivamente alle leggi della fisica. Cade per la forza di gravità e basta.

Gli organismi viventi invece possono fare cose reagendo a processi molto più complessi dalla semplice obbedienza fisica, cioè delle leggi che regolano il nostro universo.

Quando qui parliamo di comportamento, parliamo del comportamento degli organismi viventi. Quindi il comportamento di un organismo vivente e tutto ciò che l’organismo vivente fa interagendo con il contesto.

Il contesto è tutto. Il contesto è tutto quello che non è comportamento rispetto all’organismo vivente che vi interagisce.

Tu sei l’ambiente contesto di tutto ciò che interagisce con te: ASSURDO.

Quindi, quand’è che una cosa vive? Quando una cosa si può chiamare organismo vivente? Qui viene il bello.

Un organismo è vivente quando è:

  •  capace di accumulare energia e usarla quando serve;
  •  capace di accumulare e trasmettere informazioni.

La pila non è vivente perché non accumula informazioni e il computer non è vivente perché non accumula energia. La spina la devi mettere.

Un organismo vivente è capace di accumulare energia nutrendosi e accumulare informazioni.

Come? Prima di tutto attraverso il patrimonio genetico di cui è dotato. Nei nostri geni c’è scritto tutto quello che ci serve per tenerci in vita e per farci riprodurre. Attraverso la riproduzione noi trasmettiamo informazioni biologiche.

Ma non solo noi, pure le scimmie, le piante e i batteri.

E i virus? Sono organismi viventi? Per alcuni si e per alcuni no. Non lo so. C’è un dibattito enorme tra preti e casalinghe che cercano di chiarirlo. Io non lo so.

So però una cosa, molti dei nostri comportamenti hanno origine antichissime.

Non dimentichiamo che siamo il risultato di milioni di anni di evoluzione e che quindi dentro di noi ci sono comportamenti che hanno funzionato anche nei nostri antenati più primitivi. Quando dico primitivi però non mi riferisco agli uomini delle caverne ma proprio alle cose più antiche che sono esistite su questo mondo. Gli organismi unicellulari. Lo sai quante cellule hai tu? Tante? Quante? Non lo so, non ho un edicola.

Lo sai quante cellule hanno gli organismi unicellulari? UNA.

Ogni tanto ci diamo delle arie perché pensiamo che i nostri comportamenti sono il prodotto di una volontà superiore che ci ha dotato di una coscienza e di un’anima e che per questo pensiamo; in realtà i comportamenti che più frequentemente agiamo ce li hanno dati i vermi e gli organismi che a malapena erano organismi viventi.

Abbiamo in comune molti comportamenti con esseri viventi che non pensano ne hanno consapevolezza di quello che succede e di quello che sono.

Ad esempio, alcuni scienziati; chi? Alcuni scienziati, non li so i nomi, però scienziati, se li sai tu, scrivili nei commenti.

Alcuni scienziati hanno osservato che il comportamento che fa evitare il pericolo è molto più primitivo del comportamento che orienta alla ricompensa e al piacere.

È importantissimo.

Ogni cosa che facciamo la possiamo fare per evitare una punizione o per avere una ricompensa?

Secondo questo assunto:

è più probabile in termini evolutivi che ci comportiamo per evitare qualcosa di spiacevole, piuttosto che per ottenere qualcosa di piacevole.

Cioè fare una cosa per evitare una punizione.

Immagina di essere un organismo unicellulare che sguazza in un bel brodo caldo. Ti muovi senza motivo. Non hai ancora la capacità di andare dove vuoi,  non hai la capacità di regolare il tuo movimento.

Nel brodo ci sono cose che ti uccidono e cose che ti nutrono. Tu però ti muovi a caso mosso dalla corrente.

Se sei fortunato e tocchi una cosa che ti nutre bene. Vivi. Se sei sfortunato e tocchi una cosa che ti uccide. Muori. Punto. Se tocchi una cosa che ti fa riprodurre, benissimo. Ti riproduci. Non lo so se funziona esattamente così, forse a questi livelli la riproduzione è senza partner. Ti muovi nel brodo, sei stato abbastanza fortunato da aver mangiato abbastanza e invece di ingrassare ti sdoppi.

È  stato osservato che, in organismi simili, la capacità di evitare i pericoli è comparsa prima della capacità di andare verso la ricompensa.

Praticamente ad un certo punto e per caso alcune di queste cellule, sono diventate capaci di muoversi a piacere e hanno imparato che era utile muoversi per evitare eventuali sostanze tossiche che le avrebbero uccise. Quindi la prima cosa che hanno fatto non è stata riconoscere le sostanze nutritive per mangiare prima. Se mangiavi, mangiavi. La prima cosa che hanno imparato è stata scappare.

Questo succede a tutti noi. Tutti noi sappiamo che è molto più facile non fare che fare. Tutti noi sappiamo che è molto più facile evitare i fastidi piuttosto che avere un atteggiamento consapevole e orientato verso le cose che migliorano la nostra vita.

Ma, c’è un ma… perché mi pare ovvio che questi organismi non pensavano. Non è che pensano: “ah guarda, se vado di la c’è quella cosa che se l’assaggio muoio”. No. Non c’è bisogno di pensare. Lo sai che serve? Serve una funziona psicologica molto più semplice. Semplicissima. La prima di tutte. Serve solo la percezione. Neanche gli occhi servono. Non percepisci solo con gli occhi. Praticamente nel DNA di questi organismi c’è scritto: “se percepisci questa molecola qua, allora vai dall’altro lato”.

Non serve neanche l’attenzione, ne la memoria. Attenzione e memoria sono funzioni molto più complesse. Figuriamoci pensiero e coscienza. Pensiero e coscienza a questi livelli sono fantascienza.

E tu li dai per scontati.

Solo dopo un bel po’ arrivano attenzione e memoria.

Ad esempio, attenzione e memoria non le hanno nemmeno le zecche e sono comunque esseri viventi abbastanza grandi da poter essere visti dal nostro occhio nudo.

Nel DNA delle zecche c’è scritto: “cammina, appena c’è una cosa dritta Sali e aspetta. Appena percepisci determinate sostanze, lasciati cadere, afferrati e succhia”.

Nel DNA delle zecche c’è scritto: “cammina, vai sempre dritto, appena tocchi un albero Sali e aspetta, appena senti puzza di sudore sotto di te, lasciati cadere e mangia”.

Cosa serve alle zecche? Quale funzione ha il suo sistema nervoso? Detta così, solo una: LA PERCEZIONE.

La loro memoria è scritta solo nel DNA ed è innata.

Alcune cose non le abbiamo imparate eppure non possiamo dimenticarle.

Psicologo sociale e del lavoro, specialista in psicoterapia cognitiva e comportamentale. Si definisce uno "Psicologo Seriale".

Click to comment

You must be logged in to post a comment Login

Leave a Reply

Generale

La psicoterapia cognitiva comportamentale non cura “solo il sintomo”

la psicoterapia cognitivo comportamentale non cura solo il sintomo. Questo pregiudizio nasce in contrapposizione agli altri modelli che…

Published

on

La terapia cognitiva comportamentale cura solo il sintomo?

Che vuol dire curare il sintomo?

L’altra volta un mio amico mi ha detto: “Sto cercando uno psicologo però non vorrei andare da un cognitivo comportamentale perché non ho un disturbo specifico, quindi non ho sintomi da curare. Mi piacerebbe di più parlare”.

Qualcosa di simile, il senso era questo.

Ma parlare di cosa del senso della vita? Dell’origine dell’universo?

Non credo.

Chi va dallo psicologo vuole risolvere il proprio disagio emotivo.

Se mi fa male una gamba e vado dal dottore, mica gli dico: “guarda, della gamba non mi interessa poi così tanto. Vorrei parlare dei sacramenti. Tu che ne pensi”.

Quindi,

 dallo psicologo ci vanno le persone che vivono un disagio emotivo più o meno complesso, più o meno intenso e più o meno prolungato nel tempo.

Sulla psicologia e sugli psicologi ci sono tanti pregiudizi e tanti stereotipi, questo è uno dei tanti ed in particolare si rivolge agli psicologi psicoterapeuti specialisti in terapia cognitiva comportamentale.

Vorrei approfittarne per chiarire alcune cose.

La terapia cognitiva comportamentale non cura i sintomi ma la persona nella sua totalità.

La credenza che la psicoterapia cognitiva comportamentale si concentrasse eccessivamente nella cura del “sintomo” si è diffusa in contrapposizione alle cosiddette terapie del profondo, tipo la psicanalisi.

Ci sono stati anni in cui i modelli psicoterapeutici erano in forte contrasto ed anche in competizione tra loro.

Tra le fazioni i cognitivisti accusavano gli psicoanalisti di perdersi in chiacchiere con la scusa di fare terapie inconcludenti che duravano secoli ma che loro definivano necessarie per curare davvero la persona in tutta la sua complessità e profondità;

e gli psicoanalisti accusavano i cognitivisti o comportamentisti di fare terapie eccessivamente concentrate sui sintomi che funzionavano all’inizio ma che poi alla lunga la malattia sarebbe ricomparsa.

Da parte mia posso dire e confermare che il fatto che la terapia cognitiva comportamentale si preoccupa di curare solo il sintomo è assolutamente falso, oltre che farlo sarebbe inutile.

Credo che tutti i modelli psicoterapeutici ormai si approccino alla persona in quanto tale.

il “sintomo”, rappresenta il problema attivo presentato dal cliente paziente ed esprime la difficoltà, la criticità che si vorrebbe approfondire e risolvere.

Per esempio, non serve che la persona dica: “sono depresso e penso di volermi suicidare tanto tutto è inutile”, per identificare 2 sintomi: Umore basso e assenza di speranza. Il solo fatto di dire: “sono insoddisfatto, penso che mi manchi qualcosa ma non so esattamente cosa”, frase che ogni tanto potremmo pensare e dire tutti” è di per sé sintomatica perché esprime un disagio emotivo. Un disagio emotivo che può essere semplice e lineare o complesso e strutturato ed è da queste prime dichiarazioni che bisogna approfondirne origine e complessità.

Quello che dico sempre è: “cominciamo a raccontarci le cose più facili ed ovvie e poi se non dovesse bastare, approfondiremo senza cadere in facili e magiche interpretazioni.

Esattamente come ispira il principio del rasoio di Occam che alla fine è il principio che orienta la scienza.

Ne hai mai sentito parlare? Te lo racconto brevemente. Ce ne sono mille versioni ma sinteticamente la storia è questa: una volta un signore ha trovato un oggetto dalla forma strana durante degli scavi archeologici  e allora tutti gli archeologici, storici e filosofi del mondo si sono riuniti per capire cos’era. Qualcuno diceva è uno strumento di misurazione del tempo, qualcun altro addirittura diceva che serviva ad aprire un portale extra dimensionale per gli alieni. Alla fine, ad un certo punto uno dice: “Signori, è un rasoio. Rilassatevi. Questa pietra prima era affilata e la usavano per farsi la barba”.

Posso confermare che “il profondo” se necessario, è approfondito pure dai comportamentisti, nel momento in cui fanno un’analisi e una valutazione delle esperienze di vita precoci che se particolarmente spiacevoli, hanno potuto predisporre, determinare e condizionare negativamente la crescita della persona.

In ogni caso,

smettiamola di cadere nel tranello fomentato ultimamente pure dai vari counselor e coach che dicono che dallo psicologo ci vanno quelli che hanno un disturbo psicologico preciso mentre da loro ci vanno quelli che vogliono parlare di come diventare campioni ricchi e forti.

 A parte che non sarebbero capaci di riconoscere chi ha un disturbo psichiatrico da chi non ce l’ha, queste persone giocano a fare gli psicologi esercitando abusivamente la professione.

Ma va bene così, andiamo dove vogliamo. Sono secoli che nella maggior parte dei casi basta andare dal prete o nei casi peggiori dal barbiere.

Continue Reading

Generale

Cos’è la personalità e come funziona

Cosa sono di disturbi di personalità? Quando una personalità è disturbata?

Published

on

La differenza tra personalità equilibrata e disturbata

Parliamo di cose serie e forse un po’ difficili.

Ci racconteremo come funziona la tua personalità. Ti do subito una brutta notizia: non assomigli ne ad un cavallo, ne ad una tigre, ne ad una farfalla.

La bella notizia è che a prescindere da quello che ti hanno raccontato o che hai creduto fino ad oggi: una personalità ce l’hai; è impossibile non averne.

è impossibile non avere una Personalità

L’unica certezza è che puoi avere una personalità più o meno equilibrata o più o meno disturbata.

Sintesi velocissima:

La psicologia è la scienza che studia i comportamenti degli esseri umani. Esattamente come gli etologi studiano il comportamento degli animali. Fare l’etologo è più facile solo perché gli animali non si sopravvalutano e non pensano di essere importanti.

Alcuni comportamenti sono direttamente osservabili dagli altri, cioè quello che le persone fanno; e altri non sono direttamente osservabili dagli altri: quello che le persone pensano e provano emotivamente.

La nostra personalità è il modo abituale che adottiamo per fare esperienza: come ci comportiamo, come pensiamo, che tipo di emozioni tendiamo a provare prevalentemente.

In poche parole, è impossibile non avere una personalità. Dire: “quella persona non ha personalità non significa niente”.

Andiamo con ordine:

da cosa è formata la personalità?

La personalità è formata dai nostri tratti, dal nostro temperamento e dal nostro carattere.

A livello scientifico, si è concordi nell’affermare che i tratti sono biologicamente determinati ed ereditabili esattamente come il colore dei nostri capelli.

“tutte sciocchezze, Io sono del Saggittario”.  

I tratti dovrebbero essere le parti più semplici della nostra personalità e sono molto pochi: l’introversione, l’estroversione, la stabilità emotiva, l’apertura mentale, la dinamicità e qualche altro.

Il temperamento si forma mettendo insieme più tratti ed il carattere e il risultato del temperamento in interazione con l’ambiente. Non mi ricordo se in latino o in greco, temperare significa appunto mescolare. Come i colori a tempera che possono essere facilmente mescolati per creare colori diversi.

Ad esempio,  una persona tendenzialmente introversa ed emotivamente instabile potrebbe avere un temperamento evitante e pertanto facendo continue esperienze punitive potrebbe strutturare un carattere diffidente e restio alle nuove esperienze in modo da tutelare il proprio equilibrio emotivo.

Ognuno di noi pertanto rimodula, quando è opportuno, il proprio carattere sulla base delle esperienze di vita. Questa cosa qui invece non avviene, o avviene male, a fronte di gravi disturbi della personalità. In poche parole una personalità “disturbata” tende a far fare sempre le stesse cose, anche senza risultati desiderabili, a prescindere dalle interazioni con l’ambiente circostante.

La nostra personalità ha lo scopo di favorire e ottimizzare le nostre esperienze di vita positive assecondando le nostre predisposizioni biologiche.

La stessa personalità, se funziona abbastanza bene, ci migliora la qualità della vita.

Attualmente, studiosi e ricercatori sono pertanto d’accordo e ci dicono di cominciare ad evitare di parlare di personalità attraverso etichettature.

In passato si è abusato di etichette che se da una parte erano utili a condividere concetti tra i professionisti, dall’altra hanno perso di vista l’individualità delle persone trascurando sfumature indispensabili utili a promuoverne il cambiamento. La cosa che stava andando fuori controllo è che molte etichette erano prive di accurato approfondimento scientifico.

Com’è fatta quindi una personalità equilibrata e che funziona abbastanza bene?

Di nuovo, Gli scienziati che approfondiscono queste tematiche sono attualmente d’accordo nell’identificare due dimensioni principali:

  • quella che riguarda il rapporto con sé stessi;
  • quella che riguarda il rapporto con gli altri.

Per quanto riguarda il rapporto con sé stessi, una persona con una personalità equilibrata dovrebbe avere le idee abbastanza chiare circa la propria identità, i propri desideri ed il modo in cui ci si può realizzare in questa vita. Ognuno di noi dovrebbe praticamente sapere chi è, cosa vuole e cosa può fare per ottenerlo. Oltre ad identificare bisogni e desideri; inoltre, dovrebbe avere le idee abbastanza chiare su “come” poter soddisfare le sue esigenze senza compromettere la propria incolumità né quella altrui.

E qui entrano in gioco gli altri. Nel soddisfare i propri scopi, ci si rende conto che esistono anche gli altri? Si comprende che gli altri hanno anche i loro bisogni che possono essere diversi dai propri? Si è capaci di comprendere e accettare gli stati emotivi altrui?

Che tipo di intimità si riesce ad avere nelle relazioni con gli altri? Si è capaci di modulare la distanza relazionale sulla base del ruolo ricoperto e delle aspettative reciproche? Si è capaci di comprendere che ogni relazione è diversa dalle altre? In che modo vengono instaurate nuove relazioni? E per quale motivo? Ecc.….

Ogni volta che la risposta a queste domande produce comportamenti non desiderabili e che compromettono la qualità della vita, possibilmente siamo di fronte a persone con la personalità che non funziona benissimo e per questo motivo qui possiamo descrivere le persone come: antisociali, dipendenti, narcisisti, o in altro modo.

Se hai trovato utile questo contributo, mi farebbe piacere se seguissi la pagina Facebook o se ti iscrivessi al canale YouTube.

Grazie

Continue Reading

Generale

Felicità: la vera ricetta

Essere felici è possibile. Scopri le 5 caratteristiche fondamentali delle persone felici approfondite dalla psicologia positiva.

Published

on

“la felicità non esiste”

Forse anch’io l’avrò detto troppe volte, prima, non recentemente.

Dire che la felicità non esiste è stupido.  

Proveremo pertanto a descrivere cos’hanno in comune le persone felici e come essere felici pure noi.

È altrettanto inutile dire che ci sono persone felici in quanto tali, esattamente come è riduttivo dire che ci sono persone depresse per il semplice fatto che “gli è venuta la depressione”.

Essere felici significa vivere prevalentemente emozioni positive.

Essere depressi significa vivere prevalentemente emozioni negative.

Le emozioni però non vengono come un raffreddore, sono determinate sia da quello che ci succede e sia da quello che facciamo, da quello che pensiamo di noi stessi e di quello che pensiamo del mondo e degli altri.

Certe volte le persone mi dicono: “la felicità è una cazzata. Nessuno è davvero felice”. Fortunatamente non è vero. Quando, insieme, capiamo che non è vero, all’inizio ci si sente ancora più feriti e falliti ma questo è importante per ritrovare nuovi slanci e nuove motivazioni.

La verità è che è possibile essere felici, ovvero vivere emozioni positive reali e sentimenti di benessere a lungo termine.  

È vero, la felicità non è eterna. Non è uno stato che una volta raggiunto dura per sempre. È davvero più facile essere tristi che essere felici. Per essere tristi basta non fare, per provare gioie invece bisogna fare qualcosa.

Come se non bastasse, a quel qualcosa ci abituiamo e dopo poco, non ci basta più. Subito, dobbiamo fare o avere qualcos’altro.

Ci sono inoltre persone che provano gioia non quando riescono loro in qualcosa, ma quando gli altri falliscono in qualcosa, ma questo l’approfondiremo in un altro contributo, quando parleremo dell’invidia.

Stavolta ci concentreremo su come possiamo essere felici noi, grazie a noi.

Alcuni psicologi dedicano le loro ricerche al le persone felici. Si chiedono, cos’è la felicità? Quando le persone sono felici? Cosa fanno le persone felici? Ecc.…

Il più famoso di tutti è sicuramente Martin Seligman, uno psicologo americano.

Ancora, per molti, nell’immaginario collettivo gli psicologi sono quelli che studiano esclusivamente il malessere e le fonti di malessere.  

La psicologia approfondisce sia il malessere che il benessere. Si interviene sia per fare stare meno male, sia per fare stare bene; e non è la stessa cosa.

Per stare meno male basta guardare la tv o prendere una pillola… ma cosa fanno le persone che stanno bene e vivono condizioni di benessere diffuso?

Come essere felici?

Le ricerche ci dicono che queste persone felici fanno fondamentalmente 5 cose:

La prima è banalissima. Lo sanno tutti.

  • Fare attività piacevoli;

Facile. Non c’è una cosa che vale per tutti. Basta sapere che non posso essere felice se non faccio cose che mi piacciono anche senza motivo e senza valore. A me piace suonare. Quando suono ho gioia. Per te potrebbe essere ballare, truccarti, cantare, abbronzarti, guardare le partite in tv. Insomma qualsiasi cosa. Non lo so. Per questo alcuni lavorano e suggeriscono danza terapia, ippoterapia, pizza terapia, ecc.… In poche parole, è “terapeutico tutto quello che ci piace fare” per il semplice motivo che lo facciamo e mentre lo facciamo. Alcune cose piacciono quasi a tutti.

Questo però non basta. Non possiamo passare la nostra vita a fare cose “effimere”. Non saremmo davvero felici in modo complesso e duraturo ma rincorreremmo sempre la “felicità”.

È quindi importante…

  • Fare attività gratificanti;

Le attività gratificanti sono tutte quelle attività che mentre le facciamo possono pure annoiarci o irritarci: lavorare, andare in palestra, seguire una dieta, cucinare, …, tutte attività che però quando le finiamo ci sentiamo meglio e fieri di noi. La gratificazione è quella sensazione piacevole determinata dalla percezione che i nostri comportamenti stanno andando verso la direzione giusta ed utile.

Queste attività, ad un certo punto, se sovrapponibili alle attività da piacere effimero, possono anche condurci nel cosiddetto stato di “FLOW”, stato in cui siamo talmente assorbiti da non percepire più il tempo che passa. Può succedere che le attività annoianti nella fase iniziale, diventano piacevoli col trascorrere dell’impegno.

È importante sottolineare che le attività da gratificazione non sono più utili delle attività da piacere effimero. Sono utili allo stesso modo.

Dedicandoci esclusivamente alle attività da gratificazione ci mancherebbe quel pezzo di vita caratterizzato da leggerezza,  spensieratezza,  sorriso e semplicità.

A proposito di semplicità, essere persone semplici non è una giustificazione.

Dichiararsi persone semplici è forse troppo spesso una giustificazione morale per la propria pigrizia.

Nell’accezione di semplice si nasconde sempre una velata frustrazione e una condanna “morale” verso le persone che “semplici” non sono.

Personalmente amo la semplicità e ritengo di essere una persona semplice. Sono così semplice che come tutti, solo con questi due tipi di comportamenti mi annoierei.

Per essere felice mi servono anche i comportamenti del terzo tipo:

  • Raggiungere risultati oggettivi;

le persone per costruire la loro felicità hanno bisogno di raggiungere risultati. Finire percorsi di formazione, essere promossi sul lavoro, vincere un premio, finire la dieta, vincere una gara, ecc.…

Queste attività sono fondamentali perché giustificano davvero le nostre frustrazioni ed i nostri sacrifici. È nella natura delle persone.

Ad un certo punto, quando le persone riescono a godere dei loro successi, hanno però bisogno di portare la loro felicità ad un livello più alto. Le sensazioni piacevoli sono come una droga, e quando si entra nel circolo del piacere è un po’ come entrare nel baratro della tristezza prima e della depressione dopo.

Ad un certo punto le persone capiscono quindi che per consolidare la loro felicità, devono:

  • Dare un senso a quello che si fa;

Si può essere il miglior calciatore del mondo, si può vincere la Champions League ed essere super pagati, se però non si dà un nobile senso a quello che si fa, allora ci si potrebbe rattristare e cominciare a chiedersi: “ma tutto questo a che serve”. I

Il modo più semplice e forse più utile per dare senso a quello che facciamo è quello di essere utili agli altri. Per questo ad un certo punto le persone fanno “opere di bene”, beneficienza, volontariato, ecc.…

Non sono le religioni, è scritto nel DNA di tutti gli esseri umani non psicopatici. Per stare davvero bene dobbiamo fare del bene. È più forte di noi. Per questo motivo sentiamo: “Bill Gates va in Africa a costruire di tutto”; “medico super affermato va in Africa a lavorare Gratis”; ecc.…

In ultimo, ma forse il più importante è che la maggior parte delle persone di questo mondo, non possono essere felici se sono sole. La cosa più importante per essere felici è quindi:

  • Stare con gli altri e condividere le proprie gioie.

Ci tengo a precisare che questo contributo non è una sciocchezza.

 Questa estrema sintesi è il risultato di anni di ricerche serie. Possono sembrare banalità e forse per molti banalità lo sono.

Ognuno può costruire la propria felicità con le proprie attività. Non necessariamente dobbiamo essere capaci di cambiare il mondo.  Cambiare il mondo non serve per essere felici e nemmeno diventare ricchi.

Ognuno di noi può fisiologicamente trovare il proprio benessere con le proprie attività e le proprie potenzialità. Stare bene è possibile.

Dire: “la felicità non esiste” è falso e non è neanche più così consolatorio.

Quello che dovremmo tutti noi dirci è: “essere felici è possibile. Ho questa vita. Mi va di provare ad essere felice? Cosa posso fare per esserlo?”.

Alla fine moriremo lo stesso e per come la vedo io, non avremo altre occasioni per esserlo.

Continue Reading

Facebook


Iscriviti al Canale YouTube

Tendenza